pubblicato il 15/01/2014 15:18:52 nella sezione "Sub e nautica"
Quel numero 12 scritto quasi al centro della mappa delle immersioni appesa di fianco l’ingresso del diving, chissà perché, stuzzica sempre la curiosità dei subacquei più smaliziati.
Un punto in mezzo al mare, le batimetriche dicono 50mt e la legenda riporta un nome: Clan Ogilvie.
Una sera d’agosto particolarmente afosa, tutti seduti attorno ad un certo numero di bottiglie d’ Ichnusa, si parla come sempre di nuovi punti d’immersione, computer, pesci e di tutto ciò che fa di un sub un malato d’acqua, dipendente da quel liquido ma soprattutto dall’adrenalina che la scoperta dei suoi segreti può dare.
Così ci ritroviamo a discutere di quel 12, di quel relitto che le Bocche di Bonifacio ingoiarono nel 1888, devastato da un incendio e affondato a poche miglia dall’Isola di Spargi.
Come tutti i relitti anche questo esercita sui sub un fascino irresistibile, alimentato dal fatto che sia adagiato su di un fondo sabbioso da oltre 120 anni, in balia di una natura selvaggia e incontrollabile che lo ha trasformato in un paradiso sommerso.
Normalmente tento subito di cambiare discorso, di sviare l’attenzione, infatti chi conosce il mare che separa Sardegna e Corsica sa bene che, non solo la profondità, ma correnti sottomarine e cambi di tempo improvvisi possono rendere difficoltosa qualsiasi immersione: figuriamoci un tuffo che sta sul il limite delle immersioni ricreative, molto vicino a quello delle immersioni tecniche.
Però quella sera mi trovai a riflettere sul fatto che si era formato un bel gruppo di sub, bravi ed esperti e che anche io, da tanto tempo, non facevo visita al mio vecchio amico sommerso.
“Ok domani si va sul Clan, di mattina presto!”
Le parole escono dalla mia bocca inattese anche per me, infatti attiro l’attenzione dei presenti che si stampano subito un sorrisetto sul viso che è tutto un programma. Tre secondi dopo spariscono tutti a preparare attrezzature e macchine fotografiche. Domani ci sarà da divertirsi.
Seresea, la barca del diving, taglia l’acqua calmissima di un blu incredibile, sulla mia schiena il solito brivido che scorre all’inizio di tutte le mie giornate in mare. Ad arrivare sul punto impieghiamo circa 20 minuti, il tragitto è occupato da tutti a rivedere i dettagli dell’attrezzatura e dell’immersione: si tratta d’un tuffo a 50 metri e non si vuol lasciare niente al caso.
Una volta sulle coordinate cominciamo col briefing, in questo caso poco più di una formalità, si è già parlato a lungo del relitto e tutte le coppie di sub hanno programmato il loro tuffo e dichiarato il tempo d’immersione .
Tre coppie scenderanno fino alla caldaia al centro dello scafo per dirigersi a poppa, altre 2 andranno a prua.
La discesa è tranquilla e piacevole senza corrente e l’acqua è calda fino al fondo, limpidissima tanto che la sagoma del battello si intravede quasi subito. Doveva essere una nave bellissima lunga 99 metri e larga 10, spinta da un propulsore a vapore e dalle vele, irrinunciabili sulle lunghe rotte tra Bombay e Marsiglia che in quegli anni venivano solcate da Clan.
La discesa ci porta direttamente sulla caldaia ormai ricoperta da gorgonie rosse di dimensioni sicuramente fuori standard. Qui mi perdo un po’ ad ammirare un panorama il cui rosso cupo è di un fascino irresistibile, non solo per me, perché dopo pochi secondi un branco di dentici viene a controllare chi siano questi rumorosi ospiti.
Ci dirigiamo verso la poppa che ha mantenuto la sua struttura e rimane poggiata sulla fiancata di dritta, l’elica enorme attira la nostra attenzione, tanto che quasi ci sfugge il timone cosi imponente che per vederlo bene siamo costretti a fare qualche pinneggiata indietro. Qui il contrasto tra le gorgonie rosse e il substrato giallo è ancora più marcato, sarà materia dei fotografi farne una descrizione, con le parole è davvero difficile.
Il grosso astice che dimora proprio sotto il timone non sembra intimorito dalla nostra presenza e ci mostra le chele giusto per rimarcare le gerarchie.
Il computer segna 51 metri e 10 minuti di fondo, è il momento di riprendere la strada lungo le lamiere che ci riportano sulla caldaia, diminuiamo la profondità e ci godiamo gli ultimi minuti, il Clan si fa ammirare quasi nella sua interezza e i dentici continuano a girarci intorno.
15 minuti, il tempo è scaduto: puntualissimi riprendiamo la cima e iniziamo la risalita, ci aspettano una ventina di minuti di decompressione. Lì , tra i 9 e i 3 metri, ci ritroviamo tutti, che ci sia una certa euforia è evidente, che sia stato uno dei tuffi più belli della stagione, anche.
Una bella compagnia, meteo impeccabile, belle foto, ricordi di quelli che si stampano nella memoria, difficile sperare di meglio: una giornata da raccontare.
Durante il ritorno, dopo le chiacchiere e il buon Tè caldo di rito, mi estraneo un po’ ripenso ai miei primi tuffi su quel relitto, quando eravamo ancora convinti si trattasse della nave “La Santa”, colpita da una mina durante l’ultima guerra: finché non l’ abbiamo ritrovata …. Ma questa è un’altra storia.