pubblicato il 05/03/2014 16:17:01 nella sezione "Luoghi da vedere"
di Alberto Cabboi
Armungia è un caratteristico centro situato su un colle a 365 metri sul livello del mare, appartenente alla regione storica del Gerrei, parte interna della Sardegna sudorientale al confine con il Sarrabus, la Trexenta e l’Ogliastra. Tutta l’area si costituisce di altipiani, rilievi collinari e profonde vallate, ricoperti di boschi e macchia mediterranea. Le tracce più antiche della presenza umana nel territorio sono riferibili all’età del Rame (III millennio a.C.). In località Ilixi Durci si trova una vasta aerea di tombe a circolo nascoste dalla vegetazione, segnata da diversi “menhirs” in roccia arenaria, posti probabilmente ad indicare la sacralità del sito. I resti di diversi nuraghi, già menzionati dall’Angius nel 1830, si conservano in più parti (Turrigas, Scandarinu, Campu ‘e domus ed altri), spesso su alture in punti panoramici e in vista l’un dell’altro.
Centro di origine protostorica, edificato in posizione di controllo sul fondovalle, Armungia dovette verosimilmente svilupparsi intorno al nuraghe omonimo, che ancora oggi si innalza in mezzo ai tetti delle case, inglobato nel tessuto urbano. Alcune emergenze archeologiche sembrano testimoniare la continuità dell’insediamento nei lunghi secoli della dominazione romana e bizantina. E si può ritenere che anche nel suo territorio, come in tutto il Gerrei, fosse stanziata in età romana la popolazione dei Galillenses, menzionati nella ben nota tavola di Esterzili.
Durante il Medioevo il paese appartenne alla curatoria del Gerrei (o Galilla, dal nome dei suoi antichi abitanti) del regno giudicale di Cagliari. Compreso nella medesima curatoria, a poca distanza dall’abitato doveva trovarsi il villaggio di Lantini, cui una Composizione pisana del primo Trecento attribuisce una ventina di famiglie e del quale si conserva oggi il toponimo. Nel 1258, con la fine del giudicato, Armungia passò al Regno di Arborea e nel 1298 divenne un possedimento coloniale oltremarino della Repubblica di Pisa. A seguito della conquista aragonese della Sardegna (1324) fu infeudato prima a Ximenez Perez de Cornel, barone di Alfajarin, e successivamente a Ramon Zatrilla. Dopo la parentesi della rioccupazione del Gerrei da parte delle truppe arborensi, Armungia tornò nel 1409 sotto il controllo degli Zatrillas che conservarono il feudo fino al 1814, quando passò ai Vivaldi Pasqua per poi riscattarsi nel 1839.
Il paese conserva numerosi esempi di abitazioni costruite in pietra, tipiche di un’economia in prevalenza agropastorale. Tra gli edifici di maggior interesse si incontrano la Chiesa parrocchiale dell’Immacolata, del XVI secolo, il vecchio palazzo comunale, oggi sede del museo etnografico, e la Casa del segretario, edificio padronale del XIX secolo i cui spazi ospitano il museo dedicato a Emilio e Joyce Lussu.
L’abitato, chiuso a sud-ovest dall’altura su cui si innalza la chiesa campestre dedicata alla Madonna di Bonaria, si apre verso nord-est sull’ampia valle del Flumendosa. Il corso del fiume caratterizza in modo peculiare il territorio, separando fin dai tempi antichi la parte del villaggio con le sue pertinenze – le vigne, i coltivi, gli orti terrazzati – dallo spazio dell’oltre fiume, disabitato e tuttavia segnato dalla frequentazione costante dell’uomo per utilizzi pastorali ma anche agricoli, a lungo praticati in modo precario sottraendo lembi di terra alla foresta.
I boschi d’alto fusto della zona di "Murdega", tra i più belli ed estesi di tutto il Gerrei, s'incontrano risalendo il corso del fiume omonimo. Percorrendo i sentieri in mezzo alla foresta non è difficile imbattersi ancora oggi nelle tracce dell'attività di segantini e carbonai, un tempo impegnati nel taglio del legname e nella produzione del carbone di legna. A questa attività rimandano inoltre alcune strutture stabili in muratura, le "dispense" di Carradori e Scartabelli, costruite per consentire ai carbonai l’approvvigionamento dei generi di prima necessità. In quest’area vasta, immersi nel verde della campagna, sono ancora visibili i ruderi del sito minerario di “Sa lilla”, attivo nella seconda metà del XIX secolo e destinato all’estrazione di galena e blenda.
Nell'oltre fiume, nella parte più elevata del territorio comunale, verso nord-est, s'incontra poi l'area degli altipiani di Sa perda Lada, Campu ‘e domus e Pranu ‘e lettus, con i suo tavolati in roccia arenaria, segnati da erosioni che nel corso dei millenni hanno lentamente prodotto anfratti e monumenti naturali di suggestiva bellezza.