pubblicato il 01/07/2013 08:38:32 nella sezione "Luoghi religiosi e musei"
Una delle piu antiche e preziose testimonanze del medioevo in Sardegna.
La chiesa di Saccargia, nel territorio di Codrongianus, è la più importante e conosciuta basilica in stile romanico-pisano del nord Sardegna. Unico edificio rimasto in piedi di un intero complesso monanstico andato in sfacelo.
Questo gioiello di architettura fu edificato all’inizio del XII sec. per volontà di Costantino I, giudice di Torres e della sua consorte Marcusa Lacon de Gunale, la quale, durante un soggiorno fortuito in quell’area presso alcuni monaci camaldolesi, ebbe in sogno la promessa di un figlio in cambio della costruzione di un edificio consacrato alla Ss.ma Trinità.
Successe così che arrivata la grazia di un discendente il giudice fece dono alla congrega Benedettina della basilica e del convento annesso, facendoli consacrare da tre cosmopoliti alla santa Maria la prima e alla Santissima Trinità il secondo (nome che poi rimarrà ad indicare anche la chiesa). Citiamo di seguito un documento che descrive questo episodio, scritto sul condaghe detto di Saccargia, redatto probabilmente verso il XVII sec:
« Currende su Annu de su Segnore nostru Iesu Christu Milliquentu et seygui, indictione nona, quinta octobris. In su tempus qui papa Paschalis Segundu regiat sa sancta Ecclesia de Roma,.. in sa insula de Sardigna regnabat pro Iuyghe et Segnore de su Regnu de Logudore su Christianissimu Constantinu, figiu qui fuit de Juyghe Mariane quondam, una cum sa prudente de Deu devota Donna Marcusa mugiere sua, sa quale fuit de Arvarè de su Samben de Gunale…. Et regnande ambos unipare… faguende iusta e sancta vida in servissiu de Deus, apisint figios e figias; et in quo piaguiat a Deus, non de lis podiat regnare, qui totu morian. Inhue deliberaint de andare a visitare sa Ecclesia de sos tres gloriosos Martyres, zo est sanctu Gavinu, Proptu et Ianuariu de Portu de Turres, su quale fuit habitadu dae mercantes Pisanos, et altera gente assay, et inivi faguer devotas oraciones, et humiles pregarias cum officios et missas, et luminarias mannas, pregande a Deus, et a sos gloriosos martyres, qui lis concederent unu figiu o figia pro herede inssoro. Et in ipso facto, fata sa deliberacione, si tucaint, e partidos qui furunt dae sa habitacione cum grandissima gente a pee e a caddu, cum piaguere mannu et triumphu, essendo in camminu, apisint a faguer nocte in sa Ischia de Saccargia. Et inivi per virtude de Deus et de sa gloriosa virgine Maria lis fuit demostradu visibilmente, qui si issos queriant sa gracia, qui in cuddu logu edificarent una Ecclesia a honore et laude de sa sanctissima Trinidade, zo est de su Padre, de su Figiu, et de su Spiridu Sanctu, et inivi faguerent unu monasteriu de sanctu Benedictu de su Ordine de Camaldulense. Inuhe, vistu su dictu Juyghe Constantinu, et donna Marcusa mugiere sua sa visione angelica, detisirunt recatu de grande moneda gasi comente aviant su podere, et apisirunt mastros Pisanos, et edificarunt sa ecclesia et monasteriu de sa Trinidade….».
Le facciate dell’edificio, dallo spiccato gusto pisano-lucchese, sono adornate da fasce bicrome bianche e nere alternate, donando alla basilica un aspetto miracoloso, come si trattasse di un favoloso ed esotico gigante zebrato, rimasto solitario nella campagna brulla.
Un gigante slanciato appunto, con il robusto campanile che si staglia squadrato sull’altipiano, con una facciata dal gusto orientale, ricca di decorazioni radiali, come altrettanti mostruosi occhi bagnati di rosso.Un guardiano con nove occhi, alto e possente, che anche nel minuto particolare delle decorazioni colonnarie conserva il suo carattere fantastico e irreale di guardiano mitologico: figure alate e demoniache fanno la guardia alle bestie da pascolo.
Una fila di sette colonne regge il porticato di costruzione Ottocentesca, grazie al quale l’ingresso è celato: quasi un azzardo nel buio, un rischio. Varcata la porta il mistero di questo luogo è presto svelato: l’interno spoglio ed irregolarmente macchiato di bianco è tutto concentrato in un unico punto, oltre il crocevia absidale che segna il centro geografico dell’edificio: lì, arroccato nell’ombra dell’abside centrale, sta uno dei piu antichi affreschi conservati in Sardegna. Un enorme pittura muraria ricopre interamente la parete convessa del coro, proprio nell’angolo più nascosto: una vera e propria esplosione di colori e forme dal sapore bizantino, conservata per quasi mille anni in maniera eccellente nell’angolo più buio del ventre del gigante.
La meraviglia dello sguardo non lascia spazio a commenti, se non per un paio di particolari: nella fascia mediana, tra il Cristo “in mandorla” accompagnato da angeli ed arcangeli del catino superiore e le scene neotestamentarie della fascia inferiore stanno in fila i dodici apostoli, con al centro San Paolo e la Vergine. Quest’ultima insolitamente raffigurata con le braccia alzate al livello del petto e le palme rivolte all’ osservatore, in una posa tipica delle madonne pentecostali di retaggio mozarabico-catalano. L’atteggiamento in questione è probabilmente riferito alla madre di Cristo, quindi la Donna, come Chiesa, fondamento della civiltà oltre che luogo della fede e della società cristiana.
Un altro particolare interessante, in questo splendido esempio di pittura muraria eseguito probabilmente da maestranze sarde formatesi in ambiente umbro-laziale, è il ritratto dell’imperatore Costantino I che alcuni studiosi sembrano riconoscere nell’uomo in cotta di maglia inginocchiato di fronte a S.Benedetto, nell’ultimo pannello a sinistra del registro inferiore.
La mia attenzione è attirata poi da un altro personaggio, situato proprio a lato della madonna (dalla quale è diviso dalla feritoia): è il tredicesimo apostolo, Paolo di Tarso, noto per la sua conversione sulla via di Damasco ed il suo successivo ingresso nel consesso apostolico. Quella di s Paolo è certamente una figura molto particolare nella storia della proto cristianità, a lui sono riferite alcune delle piu antiche testimonianze di canto liturgico, quando, imprigionato a Filippi insieme con Sila cantava durante la notte, mentre gli altri prigionieri li ascoltavano (Atti 16, 25). E sul rapporto tra musica e religione, nel medioevo Sardo, si sa purtroppo molto poco. Quello che possiamo certamente supporre, vista la documentata consistenza musicale della liturgia orientale – precedentemente assai diffusa nel nord Sardegna-, unita alla spiccata sensibilità dei camaldolesi per i canti sacri (basti solo citare Guido d’Arezzo, monaco camaldolese e tra i piu importanti teorici musicali del periodo, riformatore del canto e dell’insegnamento musicale) che i monaci abbiano cantato per lungo tempo tra le mura di Saccargia. Li dove ora rimane solo il silenzio e lo stupore ammutolito di chi si trova al cospetto di uno dei più importanti monumenti della Sardegna medievale.
Stefano Aresu